
Negli ultimi anni si è parlato molto di come l’artificial intelligence cambierà il mondo del lavoro. Ma spesso lo si è fatto con toni allarmistici, parlando di perdita di posti, automazione selvaggia e crisi occupazionale.
Eppure, i numeri reali raccontano una storia diversa.
Un recente studio di PwC – AI Jobs Barometer, pubblicato a giugno 2025 – analizza milioni di offerte di lavoro in 15 Paesi e svela una verità scomoda per chi ancora resiste al cambiamento: l’AI non sta distruggendo l’occupazione, la sta ricostruendo da zero.
Ecco cosa sta succedendo, e perché oggi è fondamentale prepararsi, non spaventarsi.
L’AI aumenta la produttività… dove viene usata davvero
Nei settori in cui l’adozione dell’intelligenza artificiale è più avanzata (consulenza, finanza, IT), la produttività per dipendente è aumentata del 27%. Nei settori meno digitalizzati, invece, la crescita si ferma al 9%.
Questo significa che la tecnologia, se integrata con competenza, non sostituisce le persone: le potenzia.
Chi conosce l’AI guadagna di più
Una delle metriche più significative riguarda i salari. Nei settori a forte esposizione all’AI, le buste paga sono cresciute in media del 16,7%. Ma il dato più interessante riguarda chi possiede competenze legate all’AI: guadagna il 56% in più rispetto a chi non le ha.
Solo un anno fa, questo divario era del 25%.
Un segnale chiarissimo: il mercato sta già premiando chi ha investito nelle competenze giuste.
L’evoluzione delle competenze è sempre più veloce
Nel lavoro di oggi, le competenze richieste cambiano a una velocità impressionante: nei ruoli più legati all’AI, il cambiamento delle skill richieste è più rapido del 66% rispetto agli altri.
Università e formazione tradizionale non bastano più. Serve un approccio continuo, personalizzato, hybrid.
Chi non si aggiorna, si ferma. Chi impara a imparare, avanza.
I lavori automatizzabili non scompaiono: si trasformano
Contro ogni aspettativa, anche i ruoli considerati più a rischio automazione stanno crescendo. +38% negli ultimi anni.
Non perché l’AI non sia entrata in questi settori, ma perché li ha ridefiniti.
Le mansioni ripetitive vengono automatizzate, ma intorno si creano nuovi ruoli, nuove responsabilità, nuove opportunità. Il lavoro cambia pelle. Non muore.
L’AI arriva ovunque, anche dove non te l’aspetti
Pensare che l’intelligenza artificiale sia “roba da programmatori” è ormai superato.
Oggi la troviamo:
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nei cantieri edili che ottimizzano la sicurezza
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nei campi agricoli che monitorano colture e irrigazione
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nei magazzini dove migliora la logistica
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negli ospedali dove supporta la diagnosi
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nella pubblica amministrazione per semplificare la burocrazia
Ogni settore è coinvolto. Ogni professione può evolversi.
E chi lavora nelle HR? Il cambiamento parte da lì
In questo scenario, chi si occupa di risorse umane gioca un ruolo chiave. Il problema non è più “se” usare l’AI, ma “come”.
La differenza la farà la mentalità, non il titolo di studio.
Le aziende devono iniziare a:
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Mappare le competenze realmente presenti in organico
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Investire in formazione continua, accessibile e flessibile
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Adottare strumenti digitali che stimolino l’apprendimento reale (non i soliti corsi teorici)
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Promuovere una leadership che sviluppa, non che controlla
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Costruire una cultura aziendale pronta al cambiamento, non solo all’innovazione tecnica
L’AI mette alla prova l’umano, non lo sostituisce
La vera sfida non è “tecnologica”. È umana.
L’intelligenza artificiale ci obbliga a chiederci chi siamo, cosa sappiamo fare, quanto siamo disposti a cambiare.
Non si tratta solo di aggiornare software. Si tratta di aggiornare il nostro modo di pensare il lavoro.